Questa è una storia che parla di tende, o meglio di giornalismo e di tende. Di come il giornalismo sia una professione straordinaria e complicata. E di come, banalmente, sia fatta da uomini, con le loro passioni, i loro dubbi e loro emozioni.
La prima tenda è piantata sulla costa del lago di Bracciano e dentro la tenda c’è Francesco Costa. A quella tenda è giunto partendo da Catania, arrivando a Roma per studiare giornalismo, scrivendo, scrivendo, scrivendo, animato da questa passione e da quella parallela e complementare per la politica americana e per il suo astro nascente: un certo Barack Hussein Obama. Le materie che studia non lo appassionano nella stessa misura, e quello che scrive non si riesce a vendere. Roma costa. Quindi Bracciano, quindi la tenda. È estate. Francesco scrive, scrive, scrive dalla tenda e manda i suoi pezzi a tutte le più importanti redazioni via mail, ma anche nelle buste, imbucando nelle cassette rosse, affrancando. Niente. L’estate finisce, arrivano i temporali sul lago. È ora di tornare a Catania, la passione, si dice, evidentemente non basta. Invece. Invece tornato a Catania scopre che una di quelle buste era stata aperta e chi l’aveva aperta aveva capito che c’era la passione sì, ma anche lo studio, il valore e il lavoro. Inizia così la carriera di giornalista di Francesco Costa che l’ha portato, ad oggi, ad essere il vicedirettore de Il post.
“Fare il lavoro che ti piace è la più grande approssimazione della felicità”, diceva Primo Levi. Ma Francesco Costa a giugno dello scorso anno si rende conto che questo non basta. Si dice: fra diciassette mesi ci sono le elezioni americane, sto seguendo poco, sto rinunciando a qualcosa che mi piace. E poi c’è Obama. Sì perché lui, Obama, sta all’inizio e alla fine di questa storia e non ci sta per caso. Che la Storia potrà dire quel che vorrà (e questo lo dico io), ma mica la Storia viene a chiederci cosa ha significato per noi.
A giugno del 2015 Francesco Costa inizia a raccontare le elezioni americane. Prende un impegno pubblico (che privato mica vale): un pezzo a settimana, ogni sabato, cascasse il mondo. Sceglie la newsletter, che come molti sanno è strumento pericolosissimo e ad alto rischio di precoce estinzione. Invece la newsletter va bene, benissimo. Tanto che quando viene superato il numero di iscritti che concede gratuitamente il provider, il titolare chiede un piccolo contributo volontario. In due giorni deve chiudere la raccolta perché gli 800 euro necessari sono stati ampiamente raggiunti: quello che avanza verrà utilizzato per il viaggio già programmato negli States per seguire le Conventions. I numeri della newsletter sono impressionanti: più di 7000 iscritti, più del 70% degli iscritti che aprono la mail. Numeri impensabili anche a livello internazionale.
Poche settimane fa, la Convention democratica. Parla Obama, è il discorso dell’addio al suo popolo, al Partito, a un’epoca. Francesco Costa c’è. È lì, a venti metri. E fa il suo lavoro, racconta, scrive, fa la diretta Periscope. Poi. Poi Obama lo dice. Dice: “in questi anni tante volte io sono stato in difficoltà e voi mi avete aiutato. Ma credo d’avervi aiutato anch’io quando voi eravate in difficoltà”. Tutti, ma proprio tutti, attorno a Francesco, piangono commossi. Quelle parole a ciascuno, ma proprio a ciascuno, sembrano dette personalmente, precisamente per la propria storia degli ultimi otto anni. Anche a Francesco che, non prima di aver riposto nel taschino il pass stampa, come smontando definitamente la tenda, finalmente, piange.
Ad Amatrice c’è un piccolo parco. Uno come tanti dei nostri paesi con le altalene e i giochi per i bambini. Ma nelle sere successive al terremoto ci sono anche tante tende, non quelle della protezione civile, ma tende improvvisate, recuperate per passare la notte, da chi non ha più una casa. Mattia Feltri è ad Amatrice per raccontare il terremoto e per scrivere si sposta al parco, su quei tavoli di legno da pic nic, anche questi come tanti dei nostri paesi. Sta scrivendo il suo pezzo mentre alcuni volontari raggiungono il parco per distribuire giocattoli ai bambini che hanno perso tutto. Dice uno dei volontari a due bambini che si stanno avvicinando: solo uno per uno, ragazzi, servono anche per gli altri. Il primo dei due allora chiede: posso prenderne uno per la mia sorellina? Certo, risponde il volontario. Il secondo bambino a quel punto si pianta davanti al primo e quasi gridando gli dice, e gli ripete più volte : “la mia sorellina è andata in cielo, lo sai?”
Mattia Feltri è lì, sta scrivendo. E improvvisamente lo assalgono tutti i dubbi più profondi su quello che sta facendo. Cosa deve scrivere? Deve raccontare quella storia o non deve raccontarla? Una storia così è significativa, è vera, è falsa? Raccontarla non vuol forse dire farla diventare in qualche modo talmente artificiosa una volta messa sulla carta da farla sembrare finta, cattiva letteratura? Non aveva forse lui stesso nell’estate precedente durante un premio ironizzato sul giornalismo che si fa letteratura magari anche alta, ma che non ci dice nessuna verità ?
Si chiede Mattia Feltri: cosa sappiamo noi in fondo di questo lavoro, qui davanti a questi eventi? Che strumenti abbiamo? Non facciamo altro che indagarci sul presente, sul passato, sul futuro di questo mestiere, su come fare un giornale, ma qui, adesso, in questo parco, davanti a questi bambini la risposta è che non sappiamo niente. Padri che si muovono fra macerie dove altri padri hanno perso i propri figli, che cercano di far arrivare a chi legge ciò che hanno visto dosando nelle misure possibili distacco e coinvolgimento; e se facendo questo lavoro quando arrivi a sera guardandoti allo specchio non ti fai schifo, hai già ottenuto un obiettivo.
In fondo tutto è una grande passione, sembra dirci Costa. Non sappiamo niente, chiosa Feltri.
Mattia Feltri e Francesco Costa sono i vincitori del Premio Giornalistico Spotorno Subito 2016. Dopo aver ascoltato in questi giorni le loro storie complementari credo che la Giuria non avrebbe potuto scegliere meglio.