L’affetto dimostrato a Pierluigi Bersani nelle ore del suo improvviso ricovero ospedaliero, del suo malore dalle preoccupanti conseguenze, dimostra che i sentimenti nutriti dal popolo di sinistra nei suoi confronti sono quelli verso “il buon padre di famiglia”: categoria del diritto, ma prima di tutto della realtà. E i padri si amano anche quando (anzi forse soprattutto) ci si ribella a loro.
Ma veramente è una ribellione la nostra? Si è ribellata la mia generazione?
Quello che sta succedendo è piuttosto ciò che dovrebbe accadere naturalmente e che accade in ogni società, evoluta o meno. Avviene in Italia con uno scarto quasi decennale: ma non è il tempo di recriminare, ora, il momento è giunto. Tocca a noi, guardiamo avanti. Per farlo, d’altro canto, è indispensabile comprendere le ragione della nostra mancata reazione alla volontà di conservazione di potere della generazione precedente alla nostra e della qualità degli errori dei nostri padri.
E’ un fatto: noi non ci siamo ribellati. Non avevamo padri antropologicamente fascisti contro cui fare una rivoluzione. Ci hanno dato tutto. Li abbiamo stimati. Li abbiamo amati (anche se molti di noi non l’hanno mai detto) e abbiamo sognato di avere il loro stesso peso nel mondo. Quel mondo che è ormai anche nostro per molta parte. Siamo ormai padri di figli al banco, di figli in fasce, di figli in nuce.
I nostri padri affettivi o anaffettivi che siano stati, sono stati padri volenterosi, operosi: padri in buona fede. Tutto ciò per cui hanno lottato è stato costruire un futuro migliore per i loro figli. Ma questo è il baratro, la linea di demarcazione, la frattura. Ci hanno reso più forti, più colti, più mediamente benestanti di qualsiasi generazione precedente. Ma c’hanno lasciato un Paese pessimo. Un Paese consumato dall’amore per i propri figli, e dal totale disinteresse per i figli degli altri.
Che cos’è questo se non conservatorismo? Se anche i diritti conquistati si stanno consumando nel volgere di un trentennio, è colpa di questa visione strabica. Ecco la frattura: non c’è stato progetto, ma semplicemente scelte dell’immediato per garantire il benessere dei propri figli. Parlo di un conservatorismo di sinistra, poiché la destra è conservativa per sua natura, il suo orizzonte è fisso, ed è lo status quo. Il progressista deve invece anelare al costante miglioramento delle condizioni di un popolo. Ma tutto ciò necessita di partecipazione, di civismo e non soltanto di delega o di una militanza eterocondotta.
Lo scollamento che si percepisce fra istituzioni e paese reale è anche uno scollamento generazionale. Chi siede nelle stanze dei bottoni non percepisce che anche ciò che spesso viene bollato come populismo è semplicemente una diversità di marcia nei confronti della realtà. Come conciliare la visione del mondo di Giorgio Napolitano, mentalmente domiciliato a Guernica, con quella di un trentenne, che ragiona nell’universo Cupertino? In mezzo il popolo del Maggio Francese, che ha sognato, sperato, che si è voluto spesso simulacro, ma assai poco ponte.
Non solo la politica, ma ogni ambito della nostra società soffre di questo scollamento. Ne soffre l’informazione, l’imprenditoria, persino l’arte. La nostra generazione è la prima dei figli veramente desiderati, dei figli gioiello: ma essere un gioiello personale del genitore, qualcosa per cui creare un piccolo mondo migliore, ha generato un buco nero nel mondo fuori, fuori dalla casa/famiglia, un’ Italia vuota d’Italia, un’Italia di padri e figli come isole in arcipelaghi incapaci di comunicare fra loro, di volersi popolo, di condividere un futuro.
Ciò che spetta a noi, adesso che il nostro momento sembra arrivato, è ribaltare questo paradigma. Noi trentacinque-quarantenni a cui sta a cuore il futuro della collettività dovremo vedere il nostro ruolo di padri all’interno di un orizzonte più ampio, senza pareti. Dovremo avere lo sguardo dell’insegnante, la categoria più bistrattata del Paese: che invecchia crescendo i figli degli altri, come parte di un tutto, come un futuro comune. Sono certo che costruendo un mondo a misura dei figli degli altri, non potremo che ottenere un mondo migliore anche per i nostri figli. Ai quali, quando a breve ci sostituiranno, non potremo che augurare di fare altrettanto.