Sulla strada verso il Congresso, che si preannuncia lunga ed irta di perigli, sarebbe cosa buona e giusta tornare a sfogliare quel volume intitolato “Senno di poi” redatto a più mani all’indomani del risultato elettorale e che snocciolava i gravi errori che ci avevano portato alla sconfitta. In particolare, in questa sede, al sottoscritto interessa quel capitolo che va sotto il nome di “Scelta della rappresentanza”. Purtroppo è un capitolo vuoto, o quasi. Fra le righe del volume, in altri sezioni, ripetute come una litania in ogni dibattito e in ogni circolo del territorio nazionale, si analizzava con una lucidità tipica dell’a posteriori, il successo del Movimento 5 Stelle in particolare fra i giovani e fra le classi sociali più basse: non una parola d’approfondimento è stata spesa per collegare gli elettori agli eletti o per paragonare, anche soltanto a titolo di curiosità, i nostri candidati ai loro, se non per deriderli o denigrarli.
Chi segue questa rubrica sa quante volte, e non raramente con cattiveria (politica, naturalmente), ho criticato le utopie grillesche a proposito della democrazia diretta, e sa che non è mancato neppure in me il sarcasmo nei confronti di parlamentari della Repubblica a 5 Stelle spesso impreparati al ruolo. La selezione dei candidati grillini è stata fatta attraverso una votazione online in cui con poche preferenze si è scelto un futuro onorevole o senatore fra quelli che erano stati bocciati alle precedenti amministrative: una follia. Ma se voglio fortemente criticare il metodo, non me la sento di criticare il merito.
Beppe Grillo ha presentato su ogni palco dello Tzunami Tour persone normali. Uno di noi. Casalinghe, studenti, operai, impiegati, ingegneri, maestre. La casalinga di Voghera e il pompiere di Viggiù. Il metodo con cui sono stati scelti è opinabile? Certo. Queste persone non si sono rivelate abbastanza capaci? Spesso. Dobbiamo renderci conto però che molti dei nostri potenziali (o ex) elettori li hanno votati proprio perché sono persone normali. Assomigliano poco ai nostri candidati che spesso sono imprenditori o professionisti o dirigenti o amministratori locali che magari precedentemente erano professionisti dirigenti o imprenditori.
La società italiana è cambiata. Oggi troviamo persone preparate, culturalmente e politicamente, anche fra le professioni più umili. Ci sono giovani laureati che lavorano nei call-center, giovani laureate che fanno le cameriere o sono costrette a fare le casalinghe, e nulla più. E’ la disgregazione del posto fisso, è la crisi economica. Questi uomini e donne sono delle nostre ricchezze nascoste, andiamo a cercarli. Possono comprendere meglio la realtà perché ci nuotano dentro fra i marosi. Diamo loro fiducia, facciamoli entrare nelle Istituzioni. Siamo il Partito Democratico. Essere cool per una parte consistente del nostro elettorato vuol dire anche non dare l’impressione di essere il Partito delle Elite, o se preferite della Borghesia. Non possiamo valutare calvinisticamente il valore di un essere umano e la sua attitudine ad essere un rappresentante del popolo in base al successo professionale: se lo facessimo avremmo già calpestato i nostri valori, saremmo veramente un PDmenoL: dateci un Berlusconi, ce lo meritiamo. Invece facciamo in modo che dal basso, per chi ha capacità e passione si possa arrivare al luogo dove vengono prese le decisioni. Senza bisogno che ci sia qualcuno a calare una corda.
E così, forse, un giorno, dopo essere riusciti ad ascoltarla, riusciremo anche a candidarla, perché non si capisce proprio cosa ci abbia fatto di male, la casalinga di Voghera.
(pubblicato su pdsavona.it 19 Settembre 2013)