Un guercio è re

Il principale protagonista di questa stagione politica è senz’altro Giorgio Napolitano. Da due anni le sue scelte condizionano l’amministrazione del Paese Italia forse valicando i confini del suo ruolo. Non è arbitro che parteggia, ma non si può negare che abbia assunto le funzioni di  una sorta di Commissario Tecnico.

Se è incontestabile, dal punto di vista formale, l’operazione che ha portato a Palazzo Chigi Mario Monti, più opinabili sono alcune recenti prese di posizione, come la critica diretta a una parte politica, la scelta di convocare solo il Governo per essere aggiornato sull’evoluzione della legge elettorale (poi ripensata, ma resta il passo) e le parole forti di biasimo contro le opinioni di un quotidiano lanciate dal suo ufficio stampa.

La mia ossessione per la natura conservatrice della politica italiana (e non solo, qui), che si esprime attraverso una dicotomia lotta/governo, non può che non suggerirmi una coerente chiave d’interpretazione all’agire politico del Capo dello Stato. Napolitano è stato ed è tuttora molto popolare. Nel naufragio della stima degli italiani per la classe politica, egli è un sopravvissuto. Ma per carattere e per storia personale egli non è un Pertini ( di cui scriveva Enzo Biagi, “Il bene che gli hanno voluto gli aveva permesso di assumere atteggiamenti che a nessun altro saranno mai concessi. La sua onestà, il suo passato e anche il suo temperamento lo hanno sempre protetto da quell’ insofferenza per i miti che fa parte del carattere nazionale”). Il valore della sua presidenza Giorgio Napolitano ha dovuto costruirselo sul campo, sporcandosi anche le mani con la creta delle scelte impopolari, poiché si è trovato in mezzo ad un grande vuoto. Ha dovuto essere il pater delle governabilità, prima con Monti, poi con le larghe intese, ma non ha disdegnato la lotta: il suo discorso di insediamento (il secondo) fu uno schiaffo alla classe politica, la sintesi nobile e colta delle ragioni dell’antipolitica.

Nel merito, quindi, il Capo dello stato ha dovuto supplire all’impotenza dei partiti, garantire una tenuta delle istituzioni (con un occhio sempre all’Europa) e allo stesso tempo essere il Garante battagliero delle ragioni costituzionali degli italiani. Ma le sue scelte non hanno potute che essere conservatrici.   Il suo esprit politico, metaforicamente domiciliato più a Guernica che ha Cupertino, è novecentesco, monocolare. Il suo sguardo non ha potuto essere pieno, le sue opzioni per forza di cose non hanno potuto essere creative, ma nel solco della sua formazione, della sua esperienza. Eppure, con un occhio soltanto è riuscito a guardare verso un orizzonte, magari non decennale, generazionale, ma molto più in là di chi, fissandosi la punta delle scarpe (arrivare fino alla decadenza, arrivare fino al Congresso, etc) , non ha fatto altro che sbattere il muso contro ogni, quotidiano, impedimento. E’ proprio il caso di dirlo: in un mondo di ciechi un guercio è Re.

(pubblicato su pdsavona.it 28 Ottobre 2013)

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