Non so se riuscirò a scrivere questo pezzo. Ci provo mentalmente da questa mattina. Avevo provato a rifugiarmi nell’intellettualismo, citando le radici etimologiche del temine fiducia (dal latino FIDERE, aver fede) o riallacciandomi al Faust, al patto con il diavolo, all’anima venduta. Ma perché dovrei nascondermi? Il problema è semplicissimo. Oggi la totalità dei parlamentari del Partito Democratico (tranne uno, Giuseppe Civati, che non ha partecipato al voto, qui, le sue ragioni) ha votato un governo che ha come vice Premier Angelino Alfano. Un governo che durerà finchè lo vorrà Silvio Berlusconi. Un governo giovane, pulito, dalle buone intenzioni, ma che dovrà fare i conti con le innumerevoli differenze fra le esigenze dei propri elettorati, già esplose durante il governo Monti. E su cui il Cavaliere ha, da subito, messo un’OPA, che si chiama rinvio (tra l’altro rinvio? Boh) dell’IMU. E un’altra, ben più inquietante, che si chiama Presidenza della Convenzione per la revisione della Costituzione.
Il vero problema, però, è ancora un altro. E si chiama rappresentanza. Gli elettori del PD hanno votato un candidato premier (Bersani, non Renzi), una coalizione, Italia Bene Comune (pd-sel) non un’alleanza Pd-centristi, nè, diocenescampi, un’alleanza pd-pdl. Hanno votato un programma. Vi invito a verificare, nel confronto fra gli otto punti di Bersani (e il programma del PD) e quelli di Berlusconi (qui), quali di questi assomiglino al programma del governo Letta-Alfano (qui).
Questo vuol dire che lascerò? No. Almeno fino al Congresso. Per darvi il mio punto di vista sulla accordanza o discordanza dell’azione del governo con il nostro mandato elettorale. Perché se la Costituzione stabilisce che non vi è vincolo di mandato, a tutto c’è un limite.
(pubblicata su pdsavona.it 29 Aprile 2013)