Quand’ero molto più giovane, una ventina d’anni fa, leggevo “Cuore”. Raramente mi sono sentito orgoglioso di me stesso nella mia vita come in quei cinque minuti che impiegavo per raggiungere il Liceo dall’edicola, il Settimanale di resistenza umana che faceva capolino da una tasca, lo sguardo fiero del militante e il sorriso beffardo del dissacratore. Naturalmente iniziavo a leggerlo in classe. Avevo una tecnica collaudatissima: consisteva nel piegare il giornale in quattro parti a fisarmonica longitudinalmente in modo che potesse appoggiare sulle gambe e scomparire dietro al banco. Per motivi esclusivamente logistici iniziavo sempre dall’ultima pagina con la vignetta di Disegni&Caviglia e la classifica delle dieci cose per cui vale la pena vivere (ricordo quotatissimi amore, amicizia, “Cuore” e Berlusconi in galera). Quando, inevitabilmente, la Professoressa di matematica mi sorprese ( “Parodi, cosa stai leggendo?”), fra il rassegnato e l’eroico, come la piccola vedetta lombarda pronta al sacrificio, ammisi: “Cuore”. “E ti sembra possibile che tu ti metta a ripassare letteratura italiana mentre spiego Euclide? Ma siete già a De Amicis?” Risate.
Passarono i mesi e gli anni. Quando pioveva “Cuore”, come tutto, si bagnava. Ma era fatto di carta verde riciclata e le gocce lasciavano dei cerchietti bluastri. Mi inquietavano. Sembravano i segni dei proiettili sul corpo del Che. Allora ero fatto così. Poi tornavo a casa e riponevo la copia settimanale sopra le precedenti, così da formare, settimana dopo settimana, una catasta che continuava a crescere, mentre il suo collezionista ormai non lo faceva più. Poi Michele Serra se ne andò e arrivò Sabelli Fioretti (e tutti lì a controllare se avesse i calzini rossi, segno inequivocabile della sua comunistitudine), ma la carta era cambiata e forse anch’io e il mondo. La catasta di “Cuore” finì in mansarda, dalla mansarda alla cantina, dalla cantina, al gabbiotto di alluminio delle cose vecchie. Il liceo terminò per sempre e gli amici cominciarono a sposarsi. Poi qualche capello ha iniziato a diventare bianco. La carta verde prese la forma di un ricordo agrodolce come il primo bacio, il motorino e la prima volta che hai letto “On the road”. Ma poi è arrivato twitter e fra i milioni di persone di quell’universo parallelo ho trovato Lia Celi e Roberto Grassilli. E una loro foto nella redazione di quegli anni perduti. Allora sono salito dai miei, ho preso la chiave del gabbiotto. Ho girato la chiave con lo stesso sguardo fiero e sarcastico di allora, ma forse non so, con tremore. La catasta c’era ancora. Ma non era più carta, era cartapesta. L’umidità e i topi ne avevano fatto straccio, pasolinianamente, come nella poesia che da il nome a questa rubrica.
Non volevo arrendermi. Sono tornato in mansarda, come Sam Spade, alla ricerca di una traccia. E l’ho trovata. Tutto quello che mi rimane di “Cuore”, sono quattro libercoli: i “Cuore CONTRO”. Il primo “Cuore contro i comunisti” ha una prefazione straordinaria di Michele Serra, che per anni avevo considerato un assioma, per poi, come il volto di una ragazza che ci era piaciuta molto, dimenticarlo:
“Perché contro i comunisti e non contro il comunismo? Perché a Cuore siamo, o siamo stati, quasi tutti comunisti (tranne quel provocatore anarcoide di Vincino) e accanirsi contro la propria parte è un piacere supremo. In secondo luogo perché le idee, in sé, sono tutte buone, mentre gli uomini che se ne fanno portatori sono pateticamente al di sotto della bisogna. Esempio: perfino Geova, che pure è una delle idee più dannose della storia umana, non merita portavoce sgangherati come i testimoni di Geova(…).”
L’Italia è molto cambiata da allora. Ma concedetemi di sentirmi ancora giovanissimo, soltanto per oggi e attualizzare ad un consumo quotidiano le parole del direttore: perfino un’idea approssimativa come il grillismo non merita portavoce così sgangherati come Smentisco Crimi e Crudelia Lombardi, detta la Scippata. Ah, sento già l’acne che sta ritornando.
(pubblicato su pdsavona 14 Aprile 2013)