Tutto faceva presagire che Luigi Di Maio sarebbe uscito dalla kermesse di Imola investito del ruolo di candidato Premier del M5S. Così non è stato. Prima Grillo poi Casaleggio hanno ribadito che il nome del deputato napoletano è solo uno dei possibili aspiranti alla guida politica del Movimento sul campo fra cui la rete dovrà esprimersi; la chiosa del comico genovese sull’argomento è apparsa a molti al limite della scomunica: “Si fa presto a dire Di Maio. Quando l’abbiamo raccolto parlava che sembrava Bassolino”.
“Raccolto”. Raccogliere: questo il verbo usato da Grillo. “Noi”: Grillo e Casaleggio. I due co-fondatori, insomma, continuano a non voler cedere sovranità. La popolarità di Di Maio, quella mediatica e quella all’interno del Movimento, parallelamente a quella che i ben informati gli attribuiscono fra le fila dei parlamentari pentastellati , va ridimensionata.
Passare attraverso il voto della rete non è soltanto una formula di rito, non è il mantra da ripetere ossessivamente per veicolare il messaggio di una fantomatica democrazia diretta da contrapporre a quella rappresentativa sinonimo di tutti i mali della politica; passare attraverso la rete vuol dire passare attraverso la gestione della Casaleggio Associati che materialmente gestisce le votazioni online (consultazioni sulla cui trasparenza molti anche all’interno del Movimento hanno manifestato dubbi e perplessità). E’ sintomatico della forma mentis dell’uomo, o forse del progetto, che lo stesso Casaleggio in occasione del suo intervento abbia di fatto identificato gli iscritti del M5S (che sarebbero secondo il manager milanese il doppio di quelli del PD) con gli iscritti certificati al blog beppegrillo.it, cioè gli aventi diritto al voto nelle consultazioni online. A ciò consegue che anche nel caso di una vittoria di Di Maio dopo una votazione online, sarebbe un’investitura che non verrebbe politicamente “dal web”, ma dagli stessi Grillo e Casaleggio.Come ci insegna la storia chi mette sul capo di un sovrano una corona, regna più di chi quella corona la indossi.
Ma oltre alle questioni relative alla leadership, c’è un punto politico in questa questione? Si e no. Vediamo perché.
Di Maio incarna perfettamente la figura di uomo politico che può traghettare il Movimento 5 Stelle verso una più piena maturazione istituzionale ed elettorale. Abbandonare il movimentismo e il “no” a tutti i costi (non a caso fu lo stesso Di Maio ad avviare il dialogo, poi tramontato, con il PD sulle riforme istituzionali); rinunciare alla componente di negativismo spinto agli estremi (“tutto va male, tutto è marcio!”) che condannerebbe il movimento all’opposizione perpetua; preparare insomma un M5S che possa mostrarsi come una reale alternativa di governo. Ma questa ipotesi spaventa moltissimo una parte del Movimento. E Casaleggio più di tutti. Rinunciare al negativismo vorrebbe dire rinunciare a una parte di elettorato per cui, comunque andranno le cose, tutto andrà sempre male, tutto sarà sempre marcio. Un elettorato che è anche pubblico, che è anche utente, che è anche consumatore. Consumatore di prodotti che quotidianamente sazino la crisi d’astinenza del negativista. Prodotti come quelli che confezionati da Grillo e Casaleggio, fruibili a suon di click con tutto ciò che ne deriva.
Pubblicato su unita.tv 15 Ottobre 2015