Perché i commentatori non hanno compreso la vittoria di Renzi e del nuovo Pd

Il voto di domenica scorsa ha generato una sorta di straniamento in una fetta consistente dei commentatori nostrani. Lo straordinario successo del Partito Democratico ha destabilizzato anche alcuni degli analisti più raffinati, presi in contropiede da numeri assolutamente inimmaginabili utilizzando i canoni e le vulgate pre-elettorali.

La risposta istintiva è stata altrettanto stereotipata, semplificatoria, autoassolutoria: a seconda dell’inclinazione personale o degli interessi di parte veniva attribuito all’imprevisto trionfo del PD e del suo leader una coloritura diversa, ma parimente caricaturale, fuori dal tempo. Le ore trascorse dalla chiusura delle urne dimostrano in modo incontrovertibile quanto sia stato banalizzato, più o meno strumentalmente, il progetto di Matteo Renzi, del partito e del Governo che guida.

Cercare di costruire mitologie scollegate dalla realtà sembra essere diventato un esercizio di stile:

– il partito padronale, sul modello della Forza Italia delle origini (con l’accostamento Renzi-Berlusconi che così tanto piace ai miopi per vocazione);

– la conseguente deriva populista e destrorsa del Partito Democratico, diventato un comitato elettorale, a caccia del voto indistinto;

– i provvedimenti redistributivi visti come una mancia elettorale, con declinazioni più o meno boccaccesche;

– l’appiattimento dei media cloroformizzati dalla paura di essere considerati amici gufi: talmente allineati da, attraverso un processo di sudditanza psicologica, orientare i sondaggi per scatenare la paura di Grillo.
Cerchiamo di sfatare questi miti uno per uno:

– la sinistra italiana ha sempre vissuto di leadership, che spesso hanno rischiato di tracimare nel culto, come nel caso di Togliatti e Berlinguer, al punto di trasformare i loro funerali, tanto nell’immaginario individuale quanto in quello collettivo, in veri e propri riti laici. D’altro canto la leadership di Matteo Renzi non ha nulla a che vedere con il “ghe pensi mi” di berlusconiana memoria. Egli attua un processo didisintermediazione fra il cittadino, l’elettore e il Partito e il Governo. Il suo approccio è quello di tentare di trasformarsi in una sorta di antenna capace sia di ricevere gli impulsi che arrivano dalla base, sia di inviare direttamente alla base stessa il modello di scelta proposta;

– conseguentemente il suo ruolo è più quello di un influencer, sul modello delle stesse figure che animano i social media; ma il Partito, evidenza per chi conosca le dinamiche interne contemporanee, a tutti i livelli, non scompare dietro al suo ruolo, anzi. Nella metafora utilizzata, il Partito stesso svolge il ruolo di una Community, in cui ognuno è creatore di contenuti e contemporaneamente fruitore, dove vi è chi coordina e chi produce, dove le risorse migliori vengono messe al servizio della soluzione delle criticità. L’idea del Partito Democratico di Matteo Renzi non è mai stata quella di sostituire una corrente al potere con un’altra. Ma quella di valorizzare al meglio la più grande infrastruttura democratica del Paese, attingendo alle risorse migliori, di qualsiasi origine mozionale, con un’idea di svolta generazionale non scollegata dal premio al merito, disarticolando le tradizionali categorie piramidali del passato. È questo il processo maggiormente sottovalutato dagli analisti, abbagliati dall’approccio comunicativo innovativo del leader: un processo di rinnovamento dell’idea di Partito che è in itinere, ma che è sicuramente uno dei motivi del successo del Partito Democratico alle ultime elezioni. Come dimostrano i flussi, questa Buona Compagnia in costruzione risulta accattivante, se così si può dire, anche nei confronti delle giovani generazioni, che all’ultima tornata politica avevano scelto massicciamente il M5S;

– la riduzione del cuneo fiscale si configura come il più importante tentativo redistributivo della storia repubblicana. Ciò che più di sinistra si possa immaginare. Allo stesso modo, la riduzione dell’IRPEF, ossigeno per le imprese, è stata realizzata attraverso la tassazione delle rendite finanziare. Ancora una volta un’operazione “di sinistra”. Non è, perciò, il Partito Democratico che si sposta a destra, ma al contrario gli elettori moderati (e sempre seguendo i flussi non così in massa come vuole un’altra vulgata semplicistica) che scelgono il PD semplicemente perché valutano gli interventi del governo equi e contemporaneamente non depressivi. Ancora meno si capisce la boutade della mancia: prima della campagna elettorale un Governo dovrebbe varare solo provvedimenti impopolari per non essere accusato di “rubare” il consenso?

– Ciò che è accaduto in questi primi tre mesi del Governo Renzi non è un appiattimento dei media, ma semplicemente un loro superamento, o meglio un loro utilizzo come mero strumento senza la mediazione dell’addetto ai lavori. A questo va aggiunto che Matteo Renzi è stato in grado, concordemente con il ruolo di influencer di Community che gli abbiamo attribuito, di utilizzare tutti i media, spesso contemporaneamente: tv generalista, social network,carta stampata e comizio tradizionale. La reazione dell’osservatore tradizionale è stata quella di accettare il messaggio, perché già pronto per essere fruito dal proprio pubblico. La pigrizia di questo comportamento ha di fatto alimentato l’incomprensione sulla creazione di risultato e sulle modalità di questa creazione, che è la ragione principale della vittoria fuori dai limiti previsti del Partito Democratico. Il fruitore del messaggio, cioè il cittadino che riceveva gli ottanta euro o a cui venivano ridotte le tasse, ha compreso meglio del commentatore il valore della scelta politica che l’analista, in qualche modo sorpassato, dopo aver veicolato il messaggio pedissequamente e senza comprenderlo, cercava di incasellare in canoni politici strenuamente vincolati ai moduli del passato.

Queste elezioni europee che hanno visto il Partito Democratico guidato da Matteo Renzi superare la soglia del 40% dei consensi, segnano una linea di demarcazione nella comprensione del processo di rinnovamento del Paese e del Partito Democratico stesso. Da oggi le risposte semplici non bastano più.

(Pubblicato su Huffington Post Italia 29 Maggio 2014)

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