La cartina di tornasole

Questo Paese non ci piace. Non ci piace perché in ultima istanza valutiamo che ci dia poco a confronto di quello che noi sacrifichiamo del nostro vissuto in suo favore. Non piace all’imprenditore che paga troppe tasse. Non piace all’operaio che guadagna troppo poco. Non piace allo studente che sente di non ricevere una formazione adeguata e nemmeno al giovane che non riesce a trovare un lavoro che gli consenta di liberarsi dalla schiavitù della dipendenza familiare. Non ci piace, insomma, lo status quo. Questo Paese, così com’è, piace solo ai furbi e a quelli che si sono costruiti una posizione solida, inattaccabile: i conservatori.

Riformare il sistema Italia vuol dire prima di tutto colpire la conservazione. Andarla a scovare dove s’è annidata da decenni. Liberare quelle forze, quelle risorse e porle al servizio della collettività. Scontentare i pochi a favore dei molti. C’è qualcosa di più di sinistra?

Non possiamo aspettarci che non ci saranno delle resistenze; ma chi intraprende una svolta riformista deve essere allenato a riconoscere il conservatorismo e farlo riconoscere. Una politica che voglia essere al servizio del cittadino non può continuare a ripiegarsi sui tecnicismi mascherati da idealismi. Deve dare risposte rapide, univoche, che siano percepite come autorevoli e finalmente libere dal dubbio dell’autoreferenzialità: questo chiede l’Italia del 2014 alla classe dirigente.

Il cittadino, in questa fase, è chiamato a esercitare un’attenzione ai fatti della politica ancora maggiore rispetto al passato. A superare la disaffezione, certo per molti versi motivata, che blocca ogni entusiasmo. A informarsi e a informare chi gli sta attorno. Si gioca una partita decisiva. Non si tratta più di scegliere passivamente un campo, di auto-assegnarsi un’identità, accontentarsi della contrapposizione. Ciò di cui il Paese ha bisogno è di una militanza nuova, più aperta e meno dogmatica.

Armiamoci, dunque, di una cartina di tornasole. Ogni giorno, in ogni dibattito politico, in ogni polemica sulla carta stampata o sui social media, mettiamo in pratica l’ esperimento. Chiediamoci: dove sta la conservazione e dove il riformismo. Liberiamoci dai nostri pregiudizi secolari, novecenteschi, settari. Troveremo spore di conservatorismo anche dentro di noi, abitudini del pensiero difficili da morire. Sezioniamole. Verifichiamo quanto queste nostre convinzioni siano utili per il bene della collettività, per il bene dei nostri figli, che è in ultima sede il nostro bene.

Se questo Paese non ci piace, se c’è una speranza, se vogliamo essere artefici del cambiamento, il momento è questo. Non ce ne saranno altri, forse per decenni. Occorre partecipare in qualsiasi forma sia possibile. Mettere un mattone sopra l’altro, ognuno il suo. Ma anche demolire il tetto che fa acqua per costruirne uno nuovo. Ed evitare di continuare a fidarci di chi ci dice che, in fondo, basta mettere qualche secchio sul pavimento. Si è sempre fatto così.

(pubblicato su Huffington Post Italia 2 Aprile 2014)

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