Fra le molte obiezioni e critiche mosse a Matteo Renzi nel momento del suo sorpasso all’appesantito governo Letta, la più seria ci è sempre parsa quella che contestava all’ex sindaco di Firenze di costruire la propria rivoluzione, la propria svolta epocale, la propria sfida di legislatura, dovendo per forza di cose ereditare l’identica maggioranza che aveva sostenuto il governo di servizio presieduto da Enrico Letta. Non furono pochi quelli che, dentro e fuori dal Partito Democratico, profetizzarono che il Governo Renzi non avrebbe avuto chance, se non quella di diventare poco più di un rimpasto, di un Letta-bis, magari con sottofondo musicale accattivante in stile Leopolda, ma dai risultati sovrapponibili a quelli ottenuti nei nove mesi precedenti.
Soltanto un argomento sembrava in quelle ore dare una possibilità al futuro Premier; un argomento certo sottilmente acuto, ma dall’attuazione imprevedibile e rischiosa. La voce temeraria suggeriva: se Matteo Renzi riesce a mettere in moto delle riforme veramente radicali, nel senso di un rinnovamento immediatamente tangibile, avrà dalla sua parte l’opinione pubblica; a quel punto possiederà una grande arma di ricatto nei confronti dei suoi alleati e dei suoi oppositori interni, quella di poter dire: se non ci state, ve ne assumete la responsabilità davanti al Paese. Insomma: Hic Rhodus, qui è Rodi.
L’azzardo di Matteo Renzi e il suo futuro politico, vivono a questo punto sul grado di capacità del Premier stesso e del suo governo, di presentare all’Italia, e di realizzare nei tempi più brevi possibili ciò che gli italiani chiedono, ciò che per troppo tempo è stato procrastinato per mille ragioni, alcune valide, altre decisamente meno. Equità e riforme. Lavoro e sburocratizzazione. Meno tasse e servizi migliori. Ci riuscirà Matteo Renzi? E soprattutto, quel che ha già fatto è nel solco di questo progetto?
In politica capita spesso che più di un provvedimento, diano la misura politica dello stesso, le coperture finanziarie. Per questo, a fronte di quanto detto finora, ci sembra assolutamente sostanziale, nel confronto fra nuova e vecchia maggioranza, fra il governo Renzi e quello Letta, mettere in rilievo la più inaspettata delle coperture proposte dall’attuale governo in merito al più atteso, soprattutto dagli italiani, deiprovvedimenti contenuti nel DEF: il taglio del cuneo fiscale, ovvero gli ottanta euro in busta paga, la “quattordicesima per tutti”. Attorno a quel contributo infatti, nelle settimane seguenti la conferenza stampa in cui il Premier ha reso pubblici i dettagli del suo piano, si è concentrata l’attenzione di tutti, ed in particolare quella degli addetti ai lavori più scettici sulle prospettive del governo. Il coro, unanime, una sola voce: dove li prende i soldi?
Matteo Renzi parte di quei “soldi” è andato a prenderli alle banche. L’ha fatto aumentando la tassazione sulle plusvalenze della ricapitalizzazione di Bankitalia dal 12,5% al 26%. Insomma il “Qui è Rodi” del Premier gli ha permesso di raddoppiare un’imposta che solo pochi mesi fa aveva in qualche modo risparmiato gli istituti bancari nostrani, nella fretta di far cassa per abolire la seconda rata dell’IMU: in pratica per acconsentire alla realizzazione del programma del centrodestra. È evidente quanto il governo Letta abbia dovuto concedere agli alleati, anche psicologicamente, quanto spesso il ricatto si sia fatto sentire, quanto spesso il compromesso sia stato al ribasso. Oggi gli atteggiamenti sembrano invertiti: è l’alleato Alfano ad apparire timido e accondiscendente nei confronti delle scelte del Premier, anche quando questi parla di “redistribuzione”, parola diventata il questi ultimi anni un tabù per la sinistra italiana.
Il sorpasso di Renzi è stata un’operazione poco ortodossa, azzardata, un rischiatutto: ma più all’uomo della strada che all’analista, appare chiaro oggi come sia stata una scelta ineludibile, pena la stagnazione. I primi risultati di quell’azzardo cominciano a vedersi.
Riuscirà il Presidente del Consiglio a tenere alto il potere di scardinamento delle resistenze conservative facendo leva su quel “ce lo chiedono gli italiani”? Tutto è legato al consenso che egli ha, fino ad ora soltanto percepibile, e che, chi approva il suo approccio al rinnovamento, vorrà accordargli alle prossime elezioni europee.
(Pubblicato su Huffington Post Italia 16 Aprile 2014)