In questa tiepida estate ’14 innumerevoli voci, più o meno squillanti, ci ripetono che la luna di miele fra Matteo Renzi e la classe dei commentatori politici di ogni risma è definitivamente conclusa. Ma non è così. Il mirabolante palcoscenico, la Grande Bocca che tutto sa e tutto deve dire, pena la definitiva eclissi del pensiero volteriano, ha virato verso la commedia surreale, non senza una punta di consapevolezza indie. Il plot, riveduto e corretto in salsa nostrana, è indiscutibilmente quello di “Essere John Malkovich“. Riveduto, certo, perché l’organismo oggetto del desiderio, del tentativo penetrativo, marionettesco, non è l’eclettico attore statunitense, ma bensì lui, il Presidente del Consiglio dei Ministri e Segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi.
Con un poco di fantasia li si può immaginare carponi, pollici e indice saldi sui talloni del sodale che li precede, un torpedone che attraversa il Belpaese come una carovana del Giro, in attesa dell’accesso alla porticina che precipita nel carapace ossa e carne del Premier, salmodianti il salvifico mantra: “io farei così”. Sì, perché, Essi, e parlando a nome del Popolo e di Iddio, ci informano quotidianamente che loro, con il consenso elettorale di, con il grande partito strutturato che, con le capacità comunicative che nessuno si immagina per carità, con i valenti collaboratori di cui, la benevolenza di cui in fondo anch’essi sono stati partecipi giacché, insomma, farebbero meglio, di più, più fatti, meno parole. Indifferenti al ditino alzato del passante che obietta: chi ha raccolto il consenso, chi ha scelto il partito, chi possiede la capacità comunicativa, chi ha selezionato i collaboratori?
Come nel capolavoro di Jonze le certezze sull’identità sessuale dei protagonisti sfumavano dopo l’esperienza malkovichiana, così le differenze politiche di partenza vengono diluite da quest’ansia da carnevale fuori stagione di indossare una maschera dalle sembianze renziane, per sentirsi per qualche secondo parte di, però da fuori, con gli amici sempre amici e le certezze sempre identiche a se stesse. Non importa che tu venga della sinistra del sindacato, o dalla destra più destra degli industriali, che tu abbia come battaglia personale la difesa dell’orsa o quella della Costituzione come mamma l’ha fatta: ogni mattina, quando il sole sorge, travestiti, provaci, entra nel personaggio.
Non voglia il lettore fraintendere. Non si sta parlando dell’attitudine tutta nostra a divenire milioni di commissari tecnici, eccetera. Non è il nostro potenziale candidato al viaggio fantascientifico un grillino qualsiasi, l’uomo della strada che sa come si fa e, guai, se ci fosse lui. No. Essi vogliono l’involucro, pronto, fatto, pacchetto completo. Vogliono un Matteo Renzi, cioè quello che da fuori sembra lui, come Malkovich, ma dentro loro, con le loro idee, anche lontanissime anni luce dall’involucro, ma tant’è.
Sembrano, talvolta, quel D’Annunzio che di Mussolini diceva: “È un muratore che sta al posto in cui dovrei stare io” (e così abbiamo accontentato anche i teorici del “regime”). Altre volte, invece, a un passo dalla fatwa, postmussoliniani inconsapevoli in questo caso realmente, sibilano:”Lui è lui, sono quelli attorno che lo rovinano. Io si che li sistemerei”.
Insomma, incerta la tintarella per imponderabili ragioni meteorologiche, orfani di una degna canzone dell’estate che non sia l’ultima sgrammaticata pinguinata di Elio, singhiozzante twitter a carreggiata ridotta, quale gioco dell’estate più affascinante di “Essere Matteo Renzi”?
(Pubblicato su Huffington Post Italia 25 Agosto 2014)